Diario d'avventura
sessione dell' 7/6/07

 

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Mese di Eleasias (Solealto)

9 Eleasias 13XX

Sono ormai diversi mesi che il mio avventurarmi da solo lungo le coste di questa parte sconosciuta di mondo mi ha portato a trascurare la scrittura sistematica di un diario. Ora che la mia strada s’incrocia nuovamente con quella delle razze meno longeve, nel tempo di riposo che mi potrò concedere ad ogni tramonto nell’attesa che essi recuperino le forze lo scrivere un diario mi farà certamente passare il tempo più in fretta, e probabilmente avrò il tempo di riprendere gli studi magici che ho dovuto interrompere in gioventù.
La compagnia con la quale viaggio non è, ad onor del vero, la migliore che si possa immaginare; tuttavia pare che a Selgaunt non si potesse trovar di meglio, impegnati come sono gli abitanti della Sembia a curare i loro sedentari mercantilismi o a girar per mare su vascelli che rullano e beccheggiano come a poche tinozze ho visto fare. Perfino gli altri elfi (dei miei parirazza su questo continente non v’è rimasta traccia, sto seriamente iniziando a chiedermene il perché) paiono essersi indirizzati su mestieri poco consoni alla nostra stirpe…
Tale gruppo di ventura è composto, oltre che da me, da due umani e da un mezz’orco. Fortunosamente, questi è sempre vissuto tra gli umani e non ha conosciuto le atrocità tipiche del sangue che gli scorre nelle vene; non mi è di peso sopportarne la presenza nei miei pressi nonostante la sua continua voglia di menar le mani ed il suo odore alquanto pungente e pare che a lui non importi molto d’aver la compagnia d’uno dei nemici più accaniti della sua razza. La sua attitudine a prender decisioni è praticamente nulla e credo che perfino io che non ci ho mai saputo fare riuscirei a convincerlo ad agire in mia difesa anche se in ogni caso è abbastanza appariscente da distrarre da me qualsiasi nemico possa pararsi in mezzo alla nostra via. Ha l’unico incommensurabile difetto di esser incredibilmente stupido. Nessuno s’è mai preso la briga d’insegnargli a leggere o a scrivere e la sua pronuncia della lingua comune è a dir poco offensiva, quando si ricorda di non parlare in orchesco. Quel che mi consola è che non gli salterà mai per la testa di tradirci, ed ho quasi più fiducia in lui che nei due umani.

A dire il vero, di uno dei due dovrei potermi fidare a sufficienza, su base teorica, dato che s’è presentato come paladino di Torm, divinità dell’onore che già conosco dai miei trascorsi nel Tethir dove ho vissuto per miseri cinquant’anni.  È stato lui a venir a cercare altre persone che come lui desiderassero partire all’avventura ed alcuni dei suoi ideali mi paiono consoni alle scelte di vita che mi sono posto. Del druido invece per ora non so che pensare. Da quel che ne so, lui ed Arthas (questo il nome del paladino) si sono incontrati a Selgaunt un paio di decadi fa, per ora non ha espresso molte opinioni e per quanto sia un tipo abbastanza peculiare mi ci vorrà del tempo per decidere in che categoria inserirlo. Pare abbastanza ingenuo e disponibile, dote questa che lo rende senz’altro utile ai nostri scopi, tuttavia è solo un paio di giorni che conosco ognuno di loro e queste mie descrizioni sono certamente affrettate.

Abbiamo iniziato a muoverci all’alba di stamane, risalendo il fiume Arken lungo gli argini fin quando è stato possibile. La nostra decisione di partire così presto è stata dettata dal desiderio di giungere ad Archenbridge il più presto possibile, dove avremmo potuto verificare di persona la veridicità di alcune voci diffusesi tra i tavernieri di Selgaunt, tuttavia ha giovato molto anche riguardo al tempo atmosferico.
La giornata si è rivelata molto calda, con il refrigerio portato dalla vicinanza del fiume completamente compensato dall’umidità insopportabile dell’aria. Se non fossi abituato a portare vestiti piuttosto attillati perché non m’ingombrino nei movimenti, temo che quest’oggi l’indossare questa tunica m’avrebbe fatto impazzire. Ben presto la strada s’è divisa dal fiume, raggiungendo un piccolo borgo di non più di cinque edifici, ivi compresa una locanda abbastanza utilizzata dai viaggiatori che si tengono fuori dalle vie commerciali. Il menù offriva ben poche alternative ma una zuppa è bastata a riempirci gli stomaci quel che basta per giungere fino a stasera.
Abbiamo approfittato della sosta per chiedere all’oste maggiori ragguagli sugli eventi recenti ed in effetti pare che vi siano dei problemi nella regione e che di un villaggio più avanti, scostato dalla strada, non si abbiano più notizie da almeno sette giorni. In compenso Walter, l’oste del borgo, ci ha consigliato di passare per quel paesino anche perché ci avrebbe evitato di dormire all’addiaccio, consigliandoci la locanda di un suo conoscente. Nel dopopranzo siamo ripartiti con calma, avendo saputo che la distanza tra noi e la nostra meta ci avrebbe portato lì per l’ora di cena; mentre camminavamo abbiamo però compreso che i nostri piani avrebbero dovuto cambiare ben presto.
Un abitante del villaggio, che abbiamo poi scoperto essere in mano a degli schiavisti, ci si è parato contro correndo a perdifiato, lacerato dai rami che gli avevano intralciato il cammino e centrato da un dardo di balestra. Alle sue spalle v’erano tre uomini ben armati che ci hanno intimato di riconsegnare loro “lo schiavo”, attaccandoci appena abbiamo cercato di conoscere cosa legittimava la loro posizione di padroni su quel povero cittadino. Del capo del drappello s’è occupato Arthas, mentre il mezz’orco s’è efficacemente preso cura di uno dei due balestrieri e Renthar, il lupo addestrato dal druido, ha azzannato il terzo uomo, che ho finito con un colpo del mio arco mentre cercava la fuga. Nessuno di loro tornerà a mettere in allerta i loro compagni al villaggio.
Il capo dei tre s’è piantato un pugnale in gola pur di non essere preso vivo, dacché ne ho desunto che i loro cuori debbano veramente essersi macchiati di una colpa degna di una fine ingloriosa. Abbiam caricato sul ronzino di Arthas le cose utili che abbiamo trovato sui tre corpi, mentre io mi occupavo del fuggitivo, che ha fatto in tempo solamente ad implorarmi di salvare il suo villaggio prima di spirare. 

Ci abbiamo guadagnato in tutto:
-due balestre leggere, finite nelle mani di Arthas e del mezz’orco, io avrò meno problemi con l’arco finché potrò tirare da in piedi e loro erano sprovvisti di armi a distanza.
-cinquanta dardi da balestra, il che fa quattro astucci circa ogni balestriere, considerando che una trentina di quadrelli li avessero già utilizzati nell’inseguimento o in altre occasioni. Non abbiamo a che fare con degli sprovveduti. Venticinque per balestra, i nostri due tiratori mi paiono abbastanza alla pari.
-una spada ad una mano e mezza. Arthas pianifica di imparare a maneggiarla ad una mano nel prossimo futuro, certamente sarà più utile della sua lunga, che in caso potrò utilizzare io.
-tre pugnali. Li ho lasciati loro, la mia kama è senz’altro abbastanza piccola da essere utilizzabile in spazi angusti e la sua lama rivolta all’indietro la rende più utile in combattimento se uno la sa usare.
-tre armature di cuoio borchiato. Scopro che i druidi di queste terre giurano di non utilizzare metallo nel vestiario, mentre gli altri due sono già meglio equipaggiati. Quanto a me, non me ne faccio nulla. Le venderemo.
-cinquanta monete d’oro. Devono esser pagati molto, questi soldati, se se ne vanno in giro con un tale quantitativo di monete di grosso taglio. Oppure, come me, se le sono fatte cambiare allo scopo di viaggiare più leggeri. In queste terre le monete di platino sembrano più rare che in oriente. I soldi li tiene Arthas, dato che è lui che andrà per comune accordo a parlare coi mercanti e con gli osti. Il fatto che segua rigidamente tutti i punti del suo codice d’onore, stretto almeno quanto il Bushido, fa sì che io non tema una sua fuga con il denaro.

In seguito a questo incontro, abbiamo seguito le informazioni dell’oste ed abbiamo infilato un sentiero in condizioni a dir poco vergognose, oltretutto incontrando sulla strada degli animali morti e privati di diverse parti del corpo: cervella, viscere, occhi… l’apparenza è che qualcuno se ne sia cibato ma il resto dei cervi non è cosa da buttar via; il mio sospetto è che siano stati utilizzati per un qualche rituale, sospetto acuitosi quando siamo stati attaccati alle spalle da tre zombie. La coincidenza nel numero ed il fatto che uno dei tre fosse più resistente degli altri mi fa pensare che possano essere i tre umani che non abbiamo potuto seppellire nel pomeriggio, in tal caso mi chiedo però come abbiano potuto raggiungerci data la lentezza esasperante dei loro passi. Mi vien male se penso che ci hanno raggiunto e che per essere efficace con l’arco ho dovuto retrocedere.
In cerca di indizi che potessero comprovare questa mia teoria ho convinto gli altri a frugarli, seppur con l’uso di un bastone. Ne son saltate fuori tre monete d’oro, che abbiam lavato con una borraccia prima di toccarle. Giusto per poter più avanti calcolare con esattezza i bilanci, segno in un paragrafo staccato questa nostra entrata, come farò sempre per ogni cosa che ci porteremo appresso. Se non vado errato, questo ci potrà esser utile anche nel caso dovessimo ricordare dove abbiam trovato o rivenduto qualche oggetto particolare.

-tre monete d’oro

Il sole qui è calato piuttosto tardi, tenuto conto che ci troviamo sul versante orientale di una larga gola. Ci siamo presi il tempo di osservare per bene gli spostamenti nel villaggio ed abbiamo accettato malvolentieri il fatto che la cena in locanda non avremmo potuto ottenerla. Dei tre edifici ancora in piedi, solo uno sembra non avere problemi di stabilità. Vi sono stati condotti dentro una ventina di prigionieri e con loro ci sono almeno due guardie, cui si aggiunge quella che è entrata in seguito al nostro tentativo di attirare le pattuglie fuori dal villaggio.
Gli uomini di pattuglia, che sono stati cambiati dopo appena mezz’ora, sono normalmente quattro e girano a coppie. Nonostante tutti gli animali del bosco siano stati uccisi, credo sia plausibile che con la sua velocità un lupo possa essere giunto nel territorio a cibarsi delle carcasse; abbiamo perciò convinto Renthar ad ululare, sperando che qualcuno delle pattuglie si avvicinasse così da potergli tendere un’imboscata. Evidentemente alle truppe di schiavisti sono stati dati ordini ben precisi, poiché una delle due pattuglie è entrata nell’edificio degli schiavi e poco dopo uno di loro è tornato fuori dirigendosi verso l’accampamento che avevamo notato più avanti. La nostra tattica ha dovuto esser riformulata piuttosto rapidamente, e ci siamo ora portati sull'altra sponda del fiumiciattolo che costeggia il paese, sperando non vengano a cercarci da questa parte della strada.

 

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