Mese di Eleasias (Solealto)
9 Eleasias 13XX
Sono ormai diversi mesi che il mio avventurarmi da solo lungo
le coste di questa parte sconosciuta di mondo mi ha portato a trascurare
la scrittura sistematica di un diario. Ora che la mia strada s’incrocia
nuovamente con quella delle razze meno longeve, nel tempo di riposo che
mi potrò concedere ad ogni tramonto nell’attesa che essi recuperino le
forze lo scrivere un diario mi farà certamente passare il tempo più in
fretta, e probabilmente avrò il tempo di riprendere gli studi magici che
ho dovuto interrompere in gioventù.
La compagnia con la quale viaggio non è, ad onor del vero, la migliore
che si possa immaginare; tuttavia pare che a Selgaunt non si potesse
trovar di meglio, impegnati come sono gli abitanti della Sembia a curare
i loro sedentari mercantilismi o a girar per mare su vascelli che
rullano e beccheggiano come a poche tinozze ho visto fare. Perfino gli
altri elfi (dei miei parirazza su questo continente non v’è rimasta
traccia, sto seriamente iniziando a chiedermene il perché) paiono
essersi indirizzati su mestieri poco consoni alla nostra stirpe…
Tale gruppo di ventura è composto, oltre che da me, da due umani e da un
mezz’orco. Fortunosamente, questi è sempre vissuto tra gli umani e non
ha conosciuto le atrocità tipiche del sangue che gli scorre nelle vene;
non mi è di peso sopportarne la presenza nei miei pressi nonostante la
sua continua voglia di menar le mani ed il suo odore alquanto pungente e
pare che a lui non importi molto d’aver la compagnia d’uno dei nemici
più accaniti della sua razza. La sua attitudine a prender decisioni è
praticamente nulla e credo che perfino io che non ci ho mai saputo fare
riuscirei a convincerlo ad agire in mia difesa anche se in ogni caso è
abbastanza appariscente da distrarre da me qualsiasi nemico possa
pararsi in mezzo alla nostra via. Ha l’unico incommensurabile difetto di
esser incredibilmente stupido. Nessuno s’è mai preso la briga
d’insegnargli a leggere o a scrivere e la sua pronuncia della lingua
comune è a dir poco offensiva, quando si ricorda di non parlare in
orchesco. Quel che mi consola è che non gli salterà mai per la testa di
tradirci, ed ho quasi più fiducia in lui che nei due umani.
A dire il vero, di uno dei due dovrei potermi fidare a
sufficienza, su base teorica, dato che s’è presentato come paladino di
Torm, divinità dell’onore che già conosco dai miei trascorsi nel Tethir
dove ho vissuto per miseri cinquant’anni. È stato lui a venir a cercare
altre persone che come lui desiderassero partire all’avventura ed alcuni
dei suoi ideali mi paiono consoni alle scelte di vita che mi sono posto.
Del druido invece per ora non so che pensare. Da quel che ne so, lui ed
Arthas (questo il nome del paladino) si sono incontrati a Selgaunt un
paio di decadi fa, per ora non ha espresso molte opinioni e per quanto
sia un tipo abbastanza peculiare mi ci vorrà del tempo per decidere in
che categoria inserirlo. Pare abbastanza ingenuo e disponibile, dote
questa che lo rende senz’altro utile ai nostri scopi, tuttavia è solo un
paio di giorni che conosco ognuno di loro e queste mie descrizioni sono
certamente affrettate.
Abbiamo iniziato a muoverci all’alba di stamane, risalendo il
fiume Arken lungo gli argini fin quando è stato possibile. La nostra
decisione di partire così presto è stata dettata dal desiderio di
giungere ad Archenbridge il più presto possibile, dove avremmo potuto
verificare di persona la veridicità di alcune voci diffusesi tra i
tavernieri di Selgaunt, tuttavia ha giovato molto anche riguardo al
tempo atmosferico.
La giornata si è rivelata molto calda, con il refrigerio portato dalla
vicinanza del fiume completamente compensato dall’umidità insopportabile
dell’aria. Se non fossi abituato a portare vestiti piuttosto attillati
perché non m’ingombrino nei movimenti, temo che quest’oggi l’indossare
questa tunica m’avrebbe fatto impazzire. Ben presto la strada s’è divisa
dal fiume, raggiungendo un piccolo borgo di non più di cinque edifici,
ivi compresa una locanda abbastanza utilizzata dai viaggiatori che si
tengono fuori dalle vie commerciali. Il menù offriva ben poche
alternative ma una zuppa è bastata a riempirci gli stomaci quel che
basta per giungere fino a stasera.
Abbiamo approfittato della sosta per chiedere all’oste maggiori
ragguagli sugli eventi recenti ed in effetti pare che vi siano dei
problemi nella regione e che di un villaggio più avanti, scostato dalla
strada, non si abbiano più notizie da almeno sette giorni. In compenso
Walter, l’oste del borgo, ci ha consigliato di passare per quel paesino
anche perché ci avrebbe evitato di dormire all’addiaccio, consigliandoci
la locanda di un suo conoscente. Nel dopopranzo siamo ripartiti con
calma, avendo saputo che la distanza tra noi e la nostra meta ci avrebbe
portato lì per l’ora di cena; mentre camminavamo abbiamo però compreso
che i nostri piani avrebbero dovuto cambiare ben presto.
Un abitante del villaggio, che abbiamo poi scoperto essere in mano a
degli schiavisti, ci si è parato contro correndo a perdifiato, lacerato
dai rami che gli avevano intralciato il cammino e centrato da un dardo
di balestra. Alle sue spalle v’erano tre uomini ben armati che ci hanno
intimato di riconsegnare loro “lo schiavo”, attaccandoci appena abbiamo
cercato di conoscere cosa legittimava la loro posizione di padroni su
quel povero cittadino. Del capo del drappello s’è occupato Arthas,
mentre il mezz’orco s’è efficacemente preso cura di uno dei due
balestrieri e Renthar, il lupo addestrato dal druido, ha azzannato il
terzo uomo, che ho finito con un colpo del mio arco mentre cercava la
fuga. Nessuno di loro tornerà a mettere in allerta i loro compagni al
villaggio.
Il capo dei tre s’è piantato un pugnale in gola pur di non essere preso
vivo, dacché ne ho desunto che i loro cuori debbano veramente essersi
macchiati di una colpa degna di una fine ingloriosa. Abbiam caricato sul
ronzino di Arthas le cose utili che abbiamo trovato sui tre corpi,
mentre io mi occupavo del fuggitivo, che ha fatto in tempo solamente ad
implorarmi di salvare il suo villaggio prima di spirare.
Ci abbiamo guadagnato
in tutto:
-due balestre leggere, finite nelle mani di Arthas e del mezz’orco, io
avrò meno problemi con l’arco finché potrò tirare da in piedi e loro
erano sprovvisti di armi a distanza.
-cinquanta dardi da balestra, il che fa quattro astucci circa ogni
balestriere, considerando che una trentina di quadrelli li avessero già
utilizzati nell’inseguimento o in altre occasioni. Non abbiamo a che
fare con degli sprovveduti. Venticinque per balestra, i nostri due
tiratori mi paiono abbastanza alla pari.
-una spada ad una mano e mezza. Arthas pianifica di imparare a
maneggiarla ad una mano nel prossimo futuro, certamente sarà più utile
della sua lunga, che in caso potrò utilizzare io.
-tre pugnali. Li ho lasciati loro, la mia kama è senz’altro abbastanza
piccola da essere utilizzabile in spazi angusti e la sua lama rivolta
all’indietro la rende più utile in combattimento se uno la sa usare.
-tre armature di cuoio borchiato. Scopro che i druidi di queste terre
giurano di non utilizzare metallo nel vestiario, mentre gli altri due
sono già meglio equipaggiati. Quanto a me, non me ne faccio nulla. Le
venderemo.
-cinquanta monete d’oro. Devono esser pagati molto, questi soldati, se
se ne vanno in giro con un tale quantitativo di monete di grosso taglio.
Oppure, come me, se le sono fatte cambiare allo scopo di viaggiare più
leggeri. In queste terre le monete di platino sembrano più rare che in
oriente. I soldi li tiene Arthas, dato che è lui che andrà per comune
accordo a parlare coi mercanti e con gli osti. Il fatto che segua
rigidamente tutti i punti del suo codice d’onore, stretto almeno quanto
il Bushido, fa sì che io non tema una sua fuga con il denaro.
In seguito a questo incontro, abbiamo seguito le informazioni
dell’oste ed abbiamo infilato un sentiero in condizioni a dir poco
vergognose, oltretutto incontrando sulla strada degli animali morti e
privati di diverse parti del corpo: cervella, viscere, occhi…
l’apparenza è che qualcuno se ne sia cibato ma il resto dei cervi non è
cosa da buttar via; il mio sospetto è che siano stati utilizzati per un
qualche rituale, sospetto acuitosi quando siamo stati attaccati alle
spalle da tre zombie. La coincidenza nel numero ed il fatto che uno dei
tre fosse più resistente degli altri mi fa pensare che possano essere i
tre umani che non abbiamo potuto seppellire nel pomeriggio, in tal caso
mi chiedo però come abbiano potuto raggiungerci data la lentezza
esasperante dei loro passi. Mi vien male se penso che ci hanno raggiunto
e che per essere efficace con l’arco ho dovuto retrocedere.
In cerca di indizi che potessero comprovare questa mia teoria ho
convinto gli altri a frugarli, seppur con l’uso di un bastone. Ne son
saltate fuori tre monete d’oro, che abbiam lavato con una borraccia
prima di toccarle. Giusto per poter più avanti calcolare con esattezza i
bilanci, segno in un paragrafo staccato questa nostra entrata, come farò
sempre per ogni cosa che ci porteremo appresso. Se non vado errato,
questo ci potrà esser utile anche nel caso dovessimo ricordare dove
abbiam trovato o rivenduto qualche oggetto particolare.
-tre monete d’oro
Il sole qui è calato piuttosto tardi, tenuto conto che ci
troviamo sul versante orientale di una larga gola. Ci siamo presi il
tempo di osservare per bene gli spostamenti nel villaggio ed abbiamo
accettato malvolentieri il fatto che la cena in locanda non avremmo
potuto ottenerla. Dei tre edifici ancora in piedi, solo uno sembra non
avere problemi di stabilità. Vi sono stati condotti dentro una ventina
di prigionieri e con loro ci sono almeno due guardie, cui si aggiunge
quella che è entrata in seguito al nostro tentativo di attirare le
pattuglie fuori dal villaggio.
Gli uomini di pattuglia, che sono stati cambiati dopo appena mezz’ora,
sono normalmente quattro e girano a coppie. Nonostante tutti gli animali
del bosco siano stati uccisi, credo sia plausibile che con la sua
velocità un lupo possa essere giunto nel territorio a cibarsi delle
carcasse; abbiamo perciò convinto Renthar ad ululare, sperando che
qualcuno delle pattuglie si avvicinasse così da potergli tendere
un’imboscata. Evidentemente alle truppe di schiavisti sono stati dati
ordini ben precisi, poiché una delle due pattuglie è entrata
nell’edificio degli schiavi e poco dopo uno di loro è tornato fuori
dirigendosi verso l’accampamento che avevamo notato più avanti. La
nostra tattica ha dovuto esser riformulata piuttosto rapidamente, e ci
siamo ora portati sull'altra sponda del fiumiciattolo che costeggia il
paese, sperando non vengano a cercarci da questa parte della strada.
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